Fonti ufficialmente riconosciute (medici impegnati in ASPIC e AIDAP – del Luca – della Grave) già nel 1999 segnalavano che il 10% di ragazze a partire dai tredici anni presentano problemi gravi relativi all’alimentazione.
· Secondo altri autori invece, quasi il trenta per cento presentava patologie alimentari “sotto la soglia”, a rischio imminente di mortalità.
· Un’informazione altrettanto preoccupante riguarda la quantità di persone, anche molto giovani, che si trovano in una condizione di grave sovrappeso o di obesità.
Le informazioni che abbiamo dovrebbero dunque indurci a riflettere sui fattori che incidono sull’acquisizione delle norme dicomportamento alimentare orientate al benessere e alla salute, anche in considerazione del fatto che patologie alimentari di varia natura colpiscono sempre di più anche bambini e infanti.
· Non si tratta dunque solo di una patologia dell’adolescenza, ma di una problematica che abbraccia un vastissimo numero di persone.
Le categorie “tipiche” infatti, ragazze piuttosto che ragazzi; gli ambienti (moda, spettacolo e danza); il livello economico finanziario (persone generalmente benestanti) ecc. vanno sempre più sfumandosi e omologandosi, e non costituiscono più condizione necessaria affinché il disturbo alimentare sussista.
Quello che si verifica invece è piuttosto controverso:
· Da una parte possiamo trovare segnali e messaggi allarmistici da parte deimedia relativi soprattutto all’obesità
come pure, le famose “comunicazioni sociali” relative all’anoressia e la bulimia, che lanciano però messaggi poco mirati e piuttosto generalizzanti.
· Oppure possiamo imbatterci in una parte della medicina che ha sviluppato un atteggiamento da “caccia alle streghe” nei confronti dei danni connessi all’obesità,
senza considerare le patologie iatrogene, sia fisiche che psicologiche, derivanti da interventi dietetici poco realistici e non centrati sull’individuoe dagli esiti effimeri e non realmente prevedibili.
· Dall’altra abbiamo una cultura occidentale sempre più centrata sullacorrispondenza tra valore umano e canoni estetici, fortemente orientati alla magrezza:
“se sei magra” per le femmine e “se hai un bel corpo, muscoloso, in forma” per i maschi, “ puoi avere successo in tutti i campi, lavoro amore ecc. essere felice” e tanto altro ancora che la tua condizione invece non ti permette di avere.
· Il messaggio a volte diretto a volte più subdolo e pericoloso del “vali quanto pesi” o “non si è mai abbastanza ricchi e abbastanza magri”, è la vera epidemia insidiosa che minaccia il benessere mentale e investe quasi ogni fascia d’età.
Negli ultimi tempi c’è una tendenza ad uniformare ed omologare le persone, tralasciando in toto l’importanza del mantenere un’identità.
Sembra che sia aumentata la libertà d’espressione anche grazie a internet, però poi viene castrato ogni diritto ad esserci con una propria identità, più realistica e più autentica dello stampo in cui la società tende a farci passare.
Il DCA spesso riflette una mancanza di identità reale, una carenza di autoefficacia, e un’impotenza appresa che può avere origini tanto familiari quanto sociali.
· Tutto ciò può essere più o meno insabbiato all’esterno da comportamenti stereotipati e da strategie di evitamento
In questo quadro strategie di fronteggiamento efficaci vengono meno.
Viene meno la percezione del diritto (non dovere) all’individualità, mentre si instaura la necessità e di corrispondere ad un vago e distorcente ideale che ci rimanda l’esterno e che volenti o nolente viene fatto nostro.
Autore: Gruppo Lilith
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